IDEE / “La secessione dei ricchi” una riflessione del vescovo Savino su Mosaico di pace

Riportiamo una riflessione di monsignor Francesco Savino, (nella foto), vescovo di Cassano all’Jonio e vicepresidente Conferenza episcopale italiana, pubblicata sul sito Mosaico di pace, dal titolo: “La secessione dei ricchi”.

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La secessione dei ricchi

Nella notte tra il 18 e il 19 giugno, il DDL Calderoli sull’autonomia differenziata è stato definitivamente approvato alla Camera, con 172 voti favorevoli e 99 contrari. Questa legge è una conseguenza della riforma del Titolo V della Costituzione (2001), che ha dilatato competenze e poteri delle regioni a statuto ordinario.

L’art. 116 della Costituzione nella sua attuale formulazione prevede che le regioni possano chiedere sia ulteriori forme di autonomia nell’ambito di un vasto elenco di materie, sia le risorse finanziarie necessarie per decidere e intervenire concretamente.

La legge appena varata consentirà perciò alle regioni che puntano all’autonomia di poter trattenere nei rispettivi territori una parte del cosiddetto residuo fiscale regionale, cioè delle risorse pari alla differenza fra il gettito fiscale e la spesa pubblica che hanno luogo nei loro confini. Siamo di fronte perciò a quella che è stata autorevolmente definita come la “secessione dei ricchi” (G. Viesti). Non è un caso che l’iniziativa sia stata presa dalle regioni più abbienti del Paese (Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna), a partire dal 2017. Siamo però di fronte a prospettive fuorvianti e contrarie alla Costituzione, la quale pone i criteri della progressività del prelievo fiscale e dell’universalità dell’accesso dei cittadini ai servizi pubblici: i residui fiscali sono in funzione di obiettivi di giustizia sostanziale e del superamento delle disuguaglianze tra persone, non dei territori (vedi artt. 2 e 3 della Costituzione).

L’applicazione di questa legge produrrà verosimilmente esiti disastrosi sul piano della coesione sociale. Come è noto, le disuguaglianze nel nostro Paese hanno una natura anche territoriale e danno luogo al fenomeno del divario civile, per cui il contenuto effettivo dei diritti sociali cambia a seconda dei luoghi, sebbene in uno Stato unitario ai cittadini dovrebbero essere assicurate uguali opportunità di accesso ai beni di cittadinanza, a prescindere dal luogo di residenza e dal grado di sviluppo produttivo locale. In Italia il divario civile è invece più accentuato di quello economico, ed è anche più preoccupante, poiché indebolisce il senso di appartenenza a un’unica comunità nazionale. Il divario è particolarmente evidente non solo rispetto alla sanità, ma anche all’istruzione, ai servizi sociali e alla questione ambientale, ovvero rispetto agli ambiti da cui dipende la qualità e l’estensione dello sviluppo umano autentico. Si tratta proprio di alcune delle materie in ordine alle quali le regioni vogliono autonomizzarsi, chiedendo più poteri e risorse.

La realizzazione della riforma è subordinata alla determinazione dei livelli essenziali di prestazione (Leps). Il fatto è che la legge approvata nel concreto non stanzia neanche un euro per coprire i divari e di fatto derubrica i Leps a puro passaggio burocratico di identificazione senza finanziamento. È importante tuttavia evidenziare che, se pure le risorse si trovassero, non basterebbe definire i Leps in maniera standard. La vera priorità sarebbe quella di dotare i territori delle infrastrutture sociali necessarie per programmare, progettare, gestire, rendicontare e valutare gli interventi.

Non tutto è perduto, però. Apprendiamo dai quotidiani nazionali che alcuni presidenti di Regione stanno preparando il ricorso alla Consulta, denunciando l’incostituzionalità delle nuove norme. Inoltre, cresce sempre più un movimento di popolo che vuole promuovere anche una raccolta di firme per chiedere il referendum abrogativo della legge. Si tratta di iniziative che andranno accompagnate da discussioni pubbliche e adeguate forme di sensibilizzazione democratica, che il documento della Conferenza Episcopale Calabra, reso pubblico il 24 marzo scorso, già suggeriva di organizzare.

La Conferenza Episcopale Italiana ha espresso sin da subito perplessità e preoccupazione sul tema dell’autonomia differenziata, sia sul piano del metodo non dialogico utilizzato, nel processo di costruzione della norma, sia sul merito del provvedimento che, secondo le parole di S.E. Zuppi, rischia “di minare il principio di solidarietà”. La nota del 24 maggio scorso del Consiglio Episcopale Permanente affermava: “Il Paese non crescerà se non insieme”, per esprimere il disagio rispetto ad atti che mettono in discussione i vincoli di solidarietà e che rischiano di aggravare, piuttosto che ridurre, i divari e gli squilibri già esistenti.

Di fronte allo scenario annunciato, non si può restare indifferenti.

La resistenza contro questa riforma potrebbe essere un’occasione provvidenziale perché noi uomini e donne del Sud maturiamo il protagonismo di un nuovo umanesimo, al di là di ogni assistenzialismo, e la consapevolezza che il Paese avrà un futuro solo se tutti insieme sapremo tessere e ritessere intenzionalmente legami di solidarietà, a tutti i livelli.

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